Allo Storchi El Bramido de Dusseldorf apre in grande stile la nuova edizione di Vie Festival. Non perdete la replica di stasera

In Il Fondo

Già dal primo accordo di Losing my religion dei Rem sai già che ti trovi in una situazione a te congeniale. Siamo al Teatro Storchi dove El bramido de Dusseldorf lo spettacolo del drammaturgo e regista franco-uruguagio Sergio Blanco ha aperto le danze di Vie.

La nota di Ert che accompagna lo spettacolo, dipinge Blanco come “una vera rivelazione della drammaturgia recente” e dopo aver visto lo spettacolo bisogna dire che sì, è proprio vero. Chapeau caro Blanco!  Lo spettacolo mi è piaciuto moltissimo, è davvero interessante, per il tipo di racconto, per lo svolgimento non lineare della storia, per i temi poderosi che tocca con molta lievità, per la bravura degli attori, per la scenografia essenziale ma di grande effetto, per la bella colonna sonora, per la capacità di mescolare linguaggi diversi. E’ uno spettacolo che apre un nuovo orizzonte così come sempre succede agli spettacoli di Vie. L’unico neo ahimè, il poco pubblico nella platea dello Storchi, un  peccato perché  El bramido de Dusseldorf è uno spettacolo assolutamente da non perdere. E per fortuna c’è un’altra chance per vederlo, questa sera alle 21.30.

La storia racconta del rapporto tra un drammaturgo e il padre. Blanco definisce il suo un teatro di autofinzione, ovvero una narrazione in cui il protagonista coincide per molti aspetti con l’autore (il drammaturgo infatti) ma è coinvolto in vicende e situazioni inventate. Non sapremo mai cosa nello spettacolo sia verità e cosa sia finzione; se davvero Blanco sia andato a Dusseldorf, città tedesca dove si svolge l’azione, accompagnato dal padre e lì quest’ultimo sia morto per un infarto improvviso. Non sapremo mai cosa davvero questo drammaturgo sia andato a fare a Dusseldorf, se perché coinvolto nell’allestimento di una mostra sul famoso serial killer, il mostro di Dusseldorf, di cui si vedono in scena gli spezzoni dell’incredibile interpretazione di Peter Lorre nell’omonimo splendido film di Fritz Lang: M. Il mostro di Dusseldorf.  O sia andato per incontrare un rabbino che avrebbe seguito la sua conversione all’ebraismo oppure se per prendere i contatti con una delle principali case di produzione di film porno europee.

Non sapremo mai cosa il protagonista sia andato veramente a fare a Dusseldorf, perché il drammaturgo ci dice continuamente che siamo nella dimensione della finzione: il padre del protagonista infatti non fa che ripetere al figlio che lui mente sempre, che non dice mai la verità. Ma con questo pretesto Blanco riesce a mettere tanta carne al fuoco, perchè  nel suo spettacolo, che scorre sempre con grande lievità, tra musiche, luci, danze e canzoni, immagini e spezzoni di film, in questo dialogo continuo tra il protagonista e il padre si toccano i temi della morte, della ricerca di Dio, dei limiti dell’arte, della sessualità. Questi temi si intrecciano costantemente e, guarda caso, sottolinea il protagonista, il padre è nato lo stesso anno, il 1939, in cui ha preso il via la seconda guerra mondiale ma anche l’anno in cui Walt Disney ha cominciato a disegnare il film Bamby: pesantezza e leggerezza.

E qui mi fermo per non rivelare di più, col consiglio davvero a tutti di approfittare della seconda replica di stasera.

 

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